Con la presentazione della relativa istanza le parti (datore e lavoratore) sottopongono alla validazione, da parte di un organo terzo ed imparziale (la Commissione di Certificazione appunto), dello schema di gestione del rapporto di lavoro scelto, valutandone la conformità al dato normativo, sia da un punto di vista formale che della concreta attuazione del programma negoziale.
Organi preposti alla certificazione ex art. 76 del D. Lgs. 276/03 sono: gli Enti Bilaterali; le Direzioni Territoriali del Lavoro; le Università pubbliche e private e le Fondazioni Universitarie iscritte nell’apposito albo tenuto presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; i Consigli provinciali dei Consulenti del Lavoro; la D.G. Tutela delle Condizioni di Lavoro nel caso di datori di lavoro con sedi in almeno due province anche di Regioni diverse ovvero laddove siano associati ad associazioni imprenditoriali che hanno predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificate presso il Ministero del Lavoro.
Ai sensi dell’art. 75, peraltro, sono certificabili tutti i “contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro (…)” vale a dire qualsiasi tipologia di contratto di lavoro (autonomo/subordinato/parasubordinato) e i c.d. contratti commerciali (quali ad es. il contratto di appalto, di subappalto, etc…).
Gli effetti della certificazione permangono sino a quando non sia intervenuta una sentenza di merito che abbia accolto taluno dei ricorsi giudiziari di cui al successivo art. 80, fatta eccezione per i provvedimenti cautelari.
Gli effetti della certificazione si estendono anche nei confronti dei terzi (Enti previdenziali, Organi ispettivi, Autorità fiscali, etc…); conseguentemente a tali soggetti, pur potendo comunque svolgere le verifiche ispettive di competenza, risulta impedita l’immediata contestazione delle violazioni eventualmente riscontrate e l’irrogazione delle relative sanzioni.
La Direttiva del 2008 ha statuito in proposito che gli organi ispettivi possono, in presenza di contratti certificati (o in corso di certificazione), espletare le relative verifiche ove rilevino con evidenza immediata e non controvertibile la palese incongruenza tra il contratto certificato e le concrete modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
Ricorsi giudiziari esperibili avverso i provvedimenti di certificazione sono:
a) ricorso ex art. 413 c.p.c. al Tribunale Ordinario in funzione di Giudice del Lavoro per erronea qualificazione del contratto, per difformità tra il programma negoziale certificato e successiva attuazione, nonché per vizi del consenso;
b) ricorso al TAR per violazione di legge o eccesso di potere.
Come già in premessa anticipato, in base a quanto previsto dal D.P.R. n. 177/11, la certificazione dei contratti di lavoro diversi da quello a tempo indeterminato (quali, ad esempio, il contratto di lavoro intermittente, a tempo determinato, l’associazione in partecipazione con apporto di attività lavorativa e le collaborazioni coordinate e continuative anche a progetto), nonché i contratti di appalto e/o subappalto (ove previsto e consentito dal committente), devono obbligatoriamente essere certificati se strumentali allo svolgimento di attività lavorative in ambienti confinati e sospetti di inquinamento.
La certificazione pertanto, secondo il citato D.P.R., diviene condizione indispensabile per poter operare in tale delicato settore e ciò la differenzia da quella prevista dal D. Lgs. 276/03 che è invece, come già detto in precedenza, meramente eventuale essendo su base volontaria.
La ratio della norma sul punto è piuttosto chiara: è obbligatoria la certificazione in tutti i casi di esternalizzazione dell’attività produttiva, ivi comprese quelle ove sussistano i c.d. “rischi interferenziali”.